Le due testimonianze che seguono ci provocano sulla nostra relazione personale con Cristo. Come può una adolescente perdonare il proprio carnefice? Umanamente è impossibile e per il mondo non è neanche giusto. Eppure la parola “perdono” è tornata a essere il cuore di questa ragazzina, che mi ricorda molto santa Maria Goretti. Il miracolo del perdono è sempre un dono della misericordia di Dio e di un lungo cammino educativo nel quale uno vive una vera esperienza d’amore. Un amore che sgorga da quell’Uomo in croce. Il perdono è solo cristiano, esclusivamente cristiano.
Come lo è anche il sorriso di Angelina che vive la sua malattia non come una maledizione ma come la strada che il Mistero le ha assegnato nella vita per indicarle la meta, il destino finale a cui tutti tendiamo, volenti o nolenti. Quel destino che non è un’ipotesi ma un fatto, un Uomo il cui compleanno celebreremo tra alcuni giorni. Riconoscere quest’Uomo come la risposta alla nostra sete di perdono e di significato è solo frutto della grazia e della nostra libertà.
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Caro padre Aldo, dopo sei anni che vivo nella casa di Betlemme 1, voglio finalmente raccontarti la mia vita. Tante volte avrei voluto farlo ma avevo paura di ciò che poi avresti pensato di me. Finalmente la Madonna mi ha dato la forza di raccontarti tutto. Questa mattina sono andata a visitare mio padre che vive in una stamberga in un quartiere dove regna la miseria, la droga e la prostituzione. Appena entrata sono rimasta sconvolta: sporcizia dappertutto. Lui, cieco, magrissimo e ammalato, era accovacciato in un pagliericcio. Un incontro che mi ha fatto male ma nello stesso tempo ha svegliato in me un gran desiderio di abbracciarlo e perdonarlo per tutta la violenza che ha usato con me. Mia madre era una ragazza di 14 anni quando mio padre ha abusato di lei e da quella violenza sono nata io. Quando ho compiuto otto anni sono diventata io la sua vittima e da quel momento l’ho odiato. Poi, grazie all’intervento degli assistenti sociali, sono stata affidata alla tua opera. Per sei anni non sono riuscita a guardare in volto nessun uomo. Ti ricordi come scappavo anche da te? Alla mia durezza, al mio odio, tu e la mamma sostitutiva avete risposto con l’amore. È stato un cammino attraverso il quale il mio cuore ha cominciato ad aprirsi. Oggi mi sento sicura, ho perdonato mio padre. Mi avete abbracciata e adesso sono io che voglio abbracciare lui. Credo che Dio abbia permesso tutto ciò perché io imparassi a perdonare. Ma ci sono voluti sei anni di faticosa strada per arrivare a questo momento. Padre Aldo, voglio che tu venga con me a visitare mio papà perché anche tu ti possa rendere conto della miseria in cui vive.
Norma
Caro padre Aldo, sono Angelina, una ragazza di 22 anni. I miei genitori sono morti di Aids e mi hanno lasciato un’unica eredità: la stessa malattia. Essendo poveri, chi si è preso cura di me dopo la morte dei miei genitori, si è reso conto tardi che io portavo questo virus che mi stava consumando piano piano. Quando mi portarono al centro specializzato nella cura di questa malattia, mi ricoverarono alcuni giorni e poi mi inviarono qui, nel suo ospedale. Come vede, sono pelle e ossa. Qui con me sta la mia nonnina. Le persone buone che mi visitano ogni giorno, rimangono sempre sorprese per la mia serenità. Mi domandano da dove viene la mia allegria che si manifesta nel sorriso delle mie labbra. La mia risposta è semplice: «Viene dalla mia relazione con Gesù». Molti mi chiedono come faccio a vivere questa malattia datami in eredità da mia mamma. E io rispondo: «È stato necessario un lungo cammino di fede e di pazienza, sostenuta dall’affetto di tanti amici. La pazienza è stata ed è la cosa più difficile che sto imparando. Sto imparando ad accettare una malattia di cui non ho nessuna responsabilità. Come tutti i miei compagni di dolore che soffrono con me in questa clinica, offro la mia vita per la santificazione dei sacerdoti».
Angelina