Articolo tratto dal sito della Fraternità San Carlo. L’autore di questo articolo è sacerdote missionario a Nairobi (Kenya) – M. è una donna del Meeting Point, il gruppo che accoglie malati di Aids a Kahawa Sukary. L’ho battezzata due anni fa. Vende verdura all’angolo della strada.
Mi ha raccontato lei stessa, l’anno scorso, dell’incontro con T., che oggi è suo marito. Un giorno lui è andato a fare la spesa da lei. Il giorno dopo è tornato. Poi è tornato ancora e ancora. A un certo punto, le ha detto che voleva conoscerla più a fondo. Lei, per prima cosa, ha messo in chiaro: «Io sono battezzata cattolica, così se tu hai intenzione di stare con me, vai a fare il corso in chiesa, fatti battezzare e poi ci sposiamo in chiesa. Ma io adesso non vengo a convivere con te». Così lui si è iscritto al corso. Quando ho iniziato il ciclo di incontri, non sapevo che fosse il fidanzato di M.
Ha frequentato con fedeltà per due anni, ha incominciato a venire sempre a messa, è membro attivo della loro piccola comunità cristiana. Finalmente a Pasqua di quest’anno T. ha ricevuto il battesimo. E quindi la preparazione delle nozze.
Si sono sposati da poco. Don Alfonso ha regalato loro gli anelli, io la torta nuziale (di quattro piani, del tutto meritata). Gli amici del Meeting Point hanno preparato una festa bellissima, cucinando per tutti. A chi chiedeva al marito se fosse consapevole che avrebbe contratto anche lui l’Aids, lui rispondeva: «Se lei può vivere così, potrò farlo anch’io». La cerimonia è stata molto semplice e sentita, tanto quanto le successive danze, che si sono protratte a lungo, per festeggiare un tale evento di fede, eccezionale anche qui in Kenya.
Battesimo in fuoristrada
Da un matrimonio a un battesimo. Una mia cara amica, studentessa di Nairobi, ha avuto una bella bambina. Mi ha chiesto di andare a casa sua, nel suo paesello, per battezzare la figlia, poiché i suoi genitori anziani non sarebbero riusciti a venire a Nairobi. Ho radunato così alcuni studenti del Clu (Comunione e Liberazione universitari, ndr) e alcuni colleghi della ragazza e ci siamo organizzati per partire.
Una bella strada asfaltata raggiunge Gilgil (circa due ore e mezzo da casa nostra). Da lì in avanti, però, cominciano i guai… C’è un’altra ora di strada sterrata per arrivare alla chiesa. Se piove, non si può neanche pensare di passare. Se non piove, con un po’ di abilità alla guida e con l’aiuto di un angelo custode, ce la si può fare.
Non tutti i ragazzi, però, avrebbero trovato posto nella mia macchina, che può portare “solo” dodici persone. Abbiamo perciò affittato per gli altri dieci studenti un pulmino, tremendamente lento… Durante il viaggio la polizia lo ha fermato svariate volte. Poi l’autista ha sbagliato strada. Insomma, tra buche, deviazioni e posti di blocco siamo arrivati alla chiesa con un’ora e mezzo di ritardo. Mi sentivo in colpa per la ragazza, i parenti e tutti gli abitanti che avrebbero partecipato alla celebrazione. Al nostro arrivo, però, la chiesa era ancora chiusa. La fanciulla era appena arrivata, da sola, e stava aspettando i familiari e gli amici. Dopo un po’ è arrivato il sacrestano, poi qualcun altro. Nel frattempo abbiamo provato i canti, le letture, le parti della celebrazione del battesimo. Un’ora e mezza dopo il nostro arrivo, cioè tre ore dopo l’orario fissato per la cerimonia, abbiamo iniziato la messa. Bella e molto partecipata. Poi tutti a casa dei genitori. Un’altra mezz’ora di strada, per arrivare in un’area sperduta del Kenya, dove la famiglia possiede una fattoria. Abbiamo festeggiato insieme. Dopo la festa il secondo pulmino è ripartito per Nairobi.
Uno strano regalo
Io sono rimasto là con alcuni ragazzi. Abbiamo trascorso il pomeriggio cantando e giocando. È arrivata la sera, con una pioggia torrenziale. Non essendoci corrente, ci siamo radunati in una stanza della fattoria, con una candela, una stufa (a duemila metri, nella stagione delle piogge fa davvero freddo) e lì abbiamo ripreso a cantare.
Il padre della ragazza, a un certo punto, mi ha chiamato fuori. Aveva smesso di piovere. Un mare di stelle sopra di noi, così chiare com’è difficile vederne, sotto di noi un lago di fango fino alle caviglie. Mi ha portato alla stalla e mi ha detto che per ringraziamento mi avrebbe regalato una pecora. Poco dopo l’ha messa, più o meno intera, sulla griglia… Quattro ore più tardi, il tutto era pronto. Cena, e poi tutti a dormire, in letti improvvisati. A me è stato dato un letto in una parte della stalla, con enormi spifferi fra le pareti e il tetto. Come dormire a cielo aperto!
L’indomani tutti al fiume a tirare su acqua con i secchi (non c’è acqua corrente in casa), per lavarsi e per cucinare.
Infine, ancora la celebrazione della messa nella chiesetta locale (vedono il prete una volta ogni mese o due e quindi mi hanno chiesto di celebrare ancora). Pensando di iniziare con il consueto ritardo, me la sono presa comoda e sono arrivato mezz’ora dopo l’orario fissato. Ma questa volta alla gente era stato detto che la messa sarebbe cominciata due ore prima. Così ho trovato una chiesa gremita, tutti bambini e anziani. Molti, infatti, lasciano la città quando sono in là negli anni e tornano a vivere nel luogo di origine. E le famiglie dalle città affidano loro i bambini piccoli.
Dopo una bella messa di qualche ora, linguisticamente arricchita dal mio kiswahili (ancora d’arrembaggio) e dal loro idioma kikuyu, abbiamo salutato tutti e lasciato questo posto veramente bello, e stimolante per chi viene dalla città o, come me, dall’Europa.