Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Una storia che resterà scolpita per sempre nella mia memoria. Erano le 7.30 di mattina di martedì 14 febbraio e nella nostra clinica Amada stava morendo. Di fianco a lei, la figlia di 14 anni le stava cantando una canzone che spesso sentiamo in chiesa: «Non so se è la terra che è salita o il cielo che è sceso…». Prima che fosse finita la canzone, la madre era già morta. Che peccato, che dramma, e che bellezza!
Amada, ancora giovane, aveva avuto una figlia da un uomo – uno delle centinaia che riempiono il Paraguay e che al posto del cervello hanno i genitali – che dopo un inutile tentativo di convincerla ad abortire, decise di abbandonarla. Amada si vide sola, buttata per strada, disperata. Che fare? Abortire? La sua decisione fu irreversibile: «Non commetterò mai un omicidio». Figlia di povera gente di campagna, aspettò nella sua capanna la nascita della figlia. Ma le difficoltà la obbligarono ad affidare la figlioletta Nadia alla madre di quel cinico uomo. Non aveva alternativa, quella signora avrebbe potuto garantirle un futuro. Grande fu il dolore quando dovette privarsi di sua figlia, ciò che di più caro ha una madre. Compiuto il gesto, prese il bus e, come molti connazionali, andò a lavorare a Buenos Aires, dove patì solitudine e sfruttamento.
Passarono gli anni e un giorno Nadia seppe che sua mamma era tornata in Paraguay. Un ritorno disperato, che portava con sé la delusione, il fallimento dei sogni. Amada era tornata distrutta, quasi irriconoscibile, e in compagnia dell’Aids. Arrivò nella clinica che era quasi incosciente. Il volto pallido, il corpo uno scheletro. Ma si vedeva ancora l’antica bellezza che l’Aids stava distruggendo.
Il cielo e la Chiesa
Quando l’ho vista avvolta nelle bianche lenzuola, a fianco la figlia Nadia, mi si è stretto un nodo alla gola. Nadia mi ha raccontato la sua storia, che conserverò per sempre nel cuore, una storia ingiusta, assurda, di violenza, senza senso, incomprensibile, se non esistesse Cristo. Non è possibile che una ragazza di 14 anni abbia vissuto tanto dolore. Il suo volto bellissimo, il suo sorriso, i suoi occhi esprimevano il contrasto terribile con il dolore che le triturava il cuore. «Padre ho sofferto molto, non ho avuto l’affetto di una madre… Mio padre mi ha rifiutata e continua a ignorarmi. Da quando mia mamma è tornata ho lasciato la scuola, senza ascoltare mia nonna che non era d’accordo. Sono rimasta notte e giorno con la mia mamma. Sono due mesi che vivo in questo sanatorio. Non voglio che mia mamma non abbia l’affetto che non ha potuto dare a me. Lei mi ha messo al mondo anche se mio “padre” non voleva, le sono grata per il dono della vita».
Tutti i giorni gli occhi mi lacrimavano guardando la madre nel letto, simile a una candela che si andava spegnendo, e la figlia al suo fianco. Una scena che nessuno può descrivere. Si poteva solo guardare e uscire piangendo da quella stanza, tormentati da molte domande. Quante volte mi sono venute alla mente le parole di san Gregorio Nazianzeno che don Giussani citava sempre: «Se non fossi tuo, mio Cristo, sarei una creatura finita»!
Ogni tanto Amada apriva gli occhi, guardava la figlia, mi guardava… e piangeva. Con gli occhi, suo unico mezzo di comunicazione, trasmetteva alla figlia il suo amore di madre, pieno di gratitudine. Infine è arrivata la sua ora, l’ora in cui si manifesta la gloria di Dio. Nadia le stava cantando una bella canzone che parla del cielo che scende e della Chiesa che sale. Ossia del Mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo. Non è riuscita a terminare la canzone perché gli occhi della madre si sono chiusi. È morta. Ora Nadia è sola al mondo. Figlia indesiderata dal cinico padre, desiderata dall’umile madre, ora non ha più nessuno che le dia quel che solo una madre può dare. Povera figliola mia!
Figlia dei Tuoi occhi
Ho celebrato il funerale e Nadia con un’amica ha voluto cantare ancora quella canzone. Una scena lacerante. Il mio sguardo passava dalla madre stesa nella bara (finalmente tornata ad avere i suoi tratti originari, perché la morte restituisce la bellezza che il dolore distrugge) alla figlia che le accarezzava il volto. Ho offerto per entrambe la Santa Messa, ma in particolare per Nadia. «Signore, ora è sola al mondo, per favore ricordati che Tu l’hai disegnata sul palmo delle Tue mani, ricordati che è la figlia dei Tuoi occhi. Ti prego che senta la bellezza del Tuo amore nella pazienza del tempo e che il suo sorriso non si spenga mai». Momenti drammatici quando la preghiera diventa autentica, perché diventa grido, supplica, abbandono. Abbandono all’Unico che dalla croce di questo Venerdì Santo può capire e rispondere completamente al dolore di Nadia. Davvero, se non fossi Tuo, mio Cristo, sarei una creatura finita!
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